"Mio padre in fondo aveva anche ragione a dir che la pensione è davvero importante,
mia madre non aveva poi sbagliato a dir che un laureato conta più d' un cantante:
giovane e ingenuo io ho perso la testa, sian stati i libri o il mio provincialismo,
e un cazzo in culo e accuse d' arrivismo, dubbi di qualunquismo, son quello che mi resta..."
Jebediah Wilson commentando il mio pezzo dei giorni scorsi su Brescia e la mancanza di un'avanguardia culturale della città dice: L’italia è stata fatta 150 anni fa e gli italiani ancora non esistono. Non esistiamo perchè non abbiamo una storia condivisa. Io trovo tuttavia che una radice comune, da destra a sinistra, questa Italia ce l'abbia e stia scritta nella sua storia. E' il provincialismo. Lo dico senza giudizi di valore sul termine stesso.
Francesco Guccini ne L'Avvelenata riesce a dare al termine provincialismo un'accezione quasi positiva, salvifica, di rifugio. Romano Prodi ha usato il termine provincialismo parlando in Cina per sintetizzare le difficoltà dell'Italia nel mercato mondiale. Forse è proprio a lui che si deve negli ultimi 15 anni l'unico sussulto anti-provincialismo: quella tassa sull'Europa che ci fece fare il miracoloso recupero per entrare nell'Euro. Il Tempo si è lanciato in una difesa d'ufficio condivisibile:
Provincia non significa malevolmente provincialismo. Sembrano due termini dallo stesso significato. L'aggettivo è malevolo. Il sostantivo è la caratteristica del luogo che ha arte, mestieri, intraprendenza, e spirito di sacrificio.
Aldo Forbice qualche settimana fa parlava di provincialismo nel dibattito Fiat indicando l'uscita:
tutte le parti sociali dovrebbero partecipare a un confronto aperto perché "le verità scomode", come afferma ora anche Romano Prodi,non si possono ignorare o demonizzare.
Oggi sul Corriere gli ha fatto eco Ernesto Galli della Loggia che in mezzo a (presunti) qualunquismi aggiunge che:
Avvertiamo con chiarezza che avremmo bisogno di bilanci sinceri e impietosi fatti in pubblico, di un grande esame di coscienza, di poterci specchiare finalmente e collettivamente nella verità. Che ci servirebbero terapie radicali. Invece sulla scena italiana continua a non accadere nulla di tutto ciò.
Ma siamo intrisi di provincialismo al punto che anche le avanguardie come dovrebbero essere i blogger secondo gli studi di Linkfluence ne sono permeate. Ed il fatto stesso che io venga qui a citare Linkfluence, che fino a due ore fa nemmeno sapevo cosa fosse, dimostra che pure io sono un banalissimo provinciale.
Al termine PROVINCIA Repubblica ha dedicato queste due pagine interessanti. In cui Giorgio Bocca dice che la provincia:
è il luogo dei buoni ricordi, dei buoni cibi, dei buoni amici, ma anche la prigione da cui si sogna di fuggire per andare a conoscere il mondo
Ma c'è di più. E qui sta il problema. Il nostro provincialismo sfocia in qualcosa di ancor più radicato: si chiama familismo, ed è un atteggiamento sociale tribale che nelle sue peggiori derive solidali sfocia in fenomeni mafiosi, mentre in quelle politiche dà luogo a malcostumi radicati come parentopoli, che per il nostro presidente del Consiglio sono addirittura giustificabili in base al colore politico:
Dell'editoriale-sfogo di Galli della Loggia io ho estrapolato soprattutto la richiesta di terapie radicali. La ragione mi porta a pensare che l'auspicio sia dovuto più che altro alla dolorosa constatazione dell'irriformabilità di un paese che non ha una minima parvenza di coscienza sociale ed invoca sempre qualcosa di lontano per creare un comodo alibi. L'amputazione al posto della cura. Ma in resaltà siamo noi stessi a non funzionare. Ernesto Che Guevara banalmente diceva che "non avremo mai una città pulita se non iniziamo dallo zerbino di casa".
Il bivio è banalissimo. O tutti si impongono in una sorta di autoterapia collettiva di pulire lo zerbino di casa, o non ci resterà che l'amara ma inevitabile attesa della guerra, sola igiene del mondo.