martedì 1 marzo 2011

I ministri del Governo Berlusconi, dal dispotismo illuminato al catenaccio all'italiana



In questi tre anni di governo Berlusconi ho avuto modo di seguire gli incontri di diversi ministri giunti a Brescia. Trovo assai curiosa l'evoluzione del tono che gli stessi usavano ed usano. Siamo passati dal "ghe pensi mi", dalla richiesta di una fideistica adesione all'operato del governo, al minimo sindacale: "non sappiamo se facciamo bene o facciamo male ma questo è quel che sappiamo fare, abbiate pietà". Una evoluzione che li ha portati dall'ostentata sicurezza da despoti illuminati ad un minimalista "primo non prenderle" che più che altro ricorda il catenaccio all'italiana di cui era maestro il paròn Nereo Rocco. Difesa ad oltranza perchè non fare gol è meglio che prendere gol.

Il 29 luglio 2008 il ministro Luca Zaia (agricoltura) venne in visita ad una azienda agricola di Leno. E disse, in un comizio contornato da bandiere leghiste:


«nel 2015 il regime delle quote latte cesserà per legge e ci troveremo ad affrontare un altro problema: le stalle che saranno ancora aperte, infatti - ha concluso il ministro - avranno bisogno di un aiuto per la formazione del prezzo del latte». Ma in conclusione tranquillizza gli allevatori: «state tranquilli e belli coperti, non voglio casini: ora ci pensa il ministro».


Il 18 aprile 2009 durante la Fiera delle armi bresciana Exa, il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola, venne interrogato su un pasticcio creato dal decreto tagliaenti di Renato Brunetta relativo al Banco di Prova delle armi di Gardone Valtrompia:

Il «Banco» era finito nell’occhio del decreto Brunetta sugli enti inutili, ma come ha spiegato Scajola: «si è trattato di una situazione non voluta perchè quando si fanno questi interventi si agisce come quando si pulisce casa e a volte si buttano anche le cose utili. Per questo avevamo lasciato 60 giorni di tempo per segnalarci anomalie». Il ministro ha così garantito agli imprenditori presenti a Brixia Expo: «che non ci sarà alcuna cancellazione, anche se la lettera è arrivata fuori tempo massimo. Non so come ma troveremo un modo per mantenerlo».


Pochi giorni dopo, il 26 maggio 2009 fu lo stesso ministro Renato Brunetta ad intervenire all'assemblea dell'Associazione industriale bresciana, spiegando:


«La pubblica amministrazione comporta 300 miliardi di spesa, di cui 192 miliardi di stipendi. Io non tocco le cifre, voglio aumentare del 50% la produttività. Perchè proprio del 50%? Semplice, me lo sono inventato».


Evito di dire che due dei tre interessati non sono più al loro posto, che l'iter di salvataggio del Banco di Prova solo in questi giorni sembra aver avuto un suo compimento e che sulle quote latte la partita resta aperta (e si spera che l'invito a "stare coperti"... "continuando a violare le norme" del ministro Zaia rimanga lettera morta).

Ma i tre interventi sono assolutamente emblematici: "ci penso io", "non so come ma troviamo un modo", questo obiettivo "me lo sono inventato". Riflettono un metodo dispotico. Non c'era programmazione, logica, azione coordinata in quello che i ministri promettevano. Solo un preteso fideismo, una richiesta di adesione fiduciaria totale, un atteggiamento da principe illuminato che fa il tuo bene in nome e per conto tuo... che tu lo voglia o meno.

Ieri a Brescia c'erano ben due ministri. L'occasione ghiotta era l'inaugurazione dell'anno accademico. Il nuovo rettore Sergio Pecorelli, un'apertura in pompa magna con 12 rettori, un momento solenne. Sono intervenuti il ministro dei ministri, colui che oggi pesa anche più del presidente del consiglio sulle sorti del Paese, Giulio Tremonti, e con lui il ministro della sanità Ferruccio Fazio.

Di certo non verranno tacciati di eccessivo ottimismo, nè di vendere promesse irrealizzabili. L'approccio dei due ministri, che si sono divisi il compito di rispondere al rettore Sergio Pecorelli ed al rappresentante degli studenti Andrea Curcio, è minimalista, senza proclami. «Stiamo facendo abbastanza per i giovani?» aveva chiesto il rettore. «Non lo so, posso solo garantire che i miei colleghi nel governo hanno una grande onestà intellettuale» è stata la replica di Fazio. Mentre Tremonti ha constatato: «A sentire Curcio andiamo indietro, mentre Pecorelli pare dire che possiamo andare avanti. Deduco che di certo non siamo fermi». Lapalissiano ma tutto sommato positivo: «Non credo alla retorica del declino - ha spiegato - siamo consci dei nostri limiti ma proprio per questo dobbiamo avere equilibrio nel valutare il presente e pensare il futuro».


Passatemi il paragone calcistico: siamo passati dall'aggressività di chi si crede superiore e più forte rispetto a tutti gli avversari al punto di poter bypassare di netto ogni ipotesi di schema, organizzazione, impostazione logica, al catenaccio all'italiana che riporta agli anni '60 ed al paron Nereo Rocco. Minimalismo al minimo sindacale, "non abbiamo i piedi buoni ma corriamo tantissimo", come quando si parla degli assessori come di gente "che lavora tanto", come se in politica il problema fosse fare qualcosa a prescindere dalla bontà del risultato.

E' triste lo scenario offerto da un Governo che non ha più certezze, che sta tendenzialmente fermo e se si muove sente la necessità di giustificarsi preventivamente perchè si è mosso. Non parlo di bunga bunga ma di atti di Governo, di ciò che profondamente dovrà delineare (almeno nelle sovrastrutture) il nostro futuro.

Lo dico - e ne sono convinto - da tremontiano. Perchè il ministro dell'Economia, che ammiro per le scelte collegate al contesto in cui si trova a lavorare (un po' meno per le scelte in sè) e considero l'ultimo baluardo di salvezza del nostro Paese (sempre rispetto al contesto, non come valore assoluto), così dicendo svilisce il suo stesso ruolo all'interno della compagine, e probabilmente lo fa scientemente scaricando tutto ciò che è strategia e prospettiva e limitandosi ad una difesa oltranzista del risultato. Barricate allo stato puro. Non posso negare che molto si stia tentando di fare, ma non si può condividere la sarcastica constatazione del fatto che tutto fa schifo "eppur si muove".

Posso dire meno del ministro Fazio, ma il suo richiamo all'onestà intellettuale dei ministri è off topic, fuori contesto, sa di ultimo baluardo di difesa dall'incapacità. Pare di rileggere le motivazioni dell'archiviazione del caso carte di credito a Brescia: non ladri ma sprovveduti, ma stavolta in chiave preventivamente autodescrittiva. Perchè la buona fede è una condizione imprescindibile della politica, non una forma di autoassicurazione su ipotetici insuccessi futuri. Ed è inaccettabile che - proprio mentre parlano a studenti e docenti di una efficiente università del Nord - due ministri spengano il volume dell'ottimismo e riportandoci indietro di 600 anni a Lorenzo dè Medici ci spieghino sostanzialmente che:

Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.
Ciascun apra ben gli orecchi,
di doman nessun si paschi;
oggi siam, giovani e vecchi,
lieti ognun, femmine e maschi;
ogni tristo pensier caschi:
facciam festa tuttavia.

Nessun commento:

Posta un commento