lunedì 31 ottobre 2011

Startup mania, i rischi di un sistema non ancora maturo - #swbrescia #brescia #innovazione



C'è qualcosa che non mi torna nell'entusiasmo, che ho letto e sentito a Brescia in queste ore, scaturito dallo startup weekend.

L'evento in sè è stato un successo: 110 partecipanti, probabilmente il più alto numero delle 5 tappe italiane.

Fermo restando che l'entusiasmo giovanile, le idee innovative e l'operosità non possono essere viste in senso negativo, ciò che nessuno è ancora riuscito a spiegarmi è dove stiano le basi economiche in grado di creare la reale opportunità, per la crescita di un sistema di nuove imprese, a partire da idee basate su internet.

Siamo alla fase uno del web. Parlo del sistema bresciano che conosco: esistono una miriade di agenzie che sostanzialmente fanno comunicazione e marketing attraverso il web, forniscono servizi ad altre aziende e di questo vivono. Un recente sondaggio del gruppo webdebs ne ha contate ben 32. Stanno sul mercato con altre 45 aziende che fanno comunicazione anche in senso tradizionale (senza trascurare in parte il web tra i servizi offerti).

Tutto questo a fronte di 3 (tre) startup presenti.

Per uscire da ogni equivoco: startup è un bel nome in inglese che significa "azienda appena aperta che non genera reddito", aggiungo io "che sta spendendo i soldi di un finanziamento ricevuto (che sia il nonno o una banca conta poco ai fini pratici)" ed anche "la cui sostenibilità entrate-uscite nel tempo non può essere garantita da nessuno".

Pensare una startup significa avere un'idea da mettere sul mercato, da far crescere in termini di utenza e notorietà e da portare infine al successo economico.

Il sistema funziona negli Stati Uniti perchè sopra le teste dei giovani smanettoni sta una ramificata struttura finanziaria che li asseconda, e sopra la struttura finanziaria sta un sistema imprenditoriale ricettivo fatto di realtà che potenzialmente possono inglobare le applicazioni o supportarle per farle funzionare con le loro gambe.

In Italia manca tutto questo. Ma nessuno è colpevole dello stato di fatto, nessuno ha causato questa situazione in malafede.

Ce la possiamo prendere con la banda larga, con gli investimenti assenti, con le banche tirchie o con qualsiasi pioggia colpa del governo ladro, ma alla fine scopriremo anche un problema di fondo: le nostre aziende mancano di alfabetizzazione informatica, non utilizzano gli strumenti del web 2.0, sono organizzate secondo schemi obsoleti e utilizzano mezzi spesso superati. Ma non percepiscono il problema così come chi si trova bene a spostarsi in automobile non si pone il problema di ottimizzare gli spostamenti con un aeroplano più veloce.

Basti dire che al momento sono solo 147 le imprese che basano la loro attività di vendita sul web, anche se la Camera di commercio di Milano in un suo comunicato ha parlato di boom. Praticamente un rapporto 2:1 con le agenzie. Se poi si pensa che nel 2008 sono stati finanziati 104 progetti per 2,8 milioni di euro totali, non si può certo essere particolarmente entusiasti.

Io credo che prima di far crescere una foresta di "piccole aziende di successo" serva che le "vecchie aziende di successo" inizino ad utilizzare gli strumenti collaborativi del web 2.0.

Di questo sono convinto: non vedremo mai maturare il mondo delle startup italiane basate sul web se prima non saranno maturate da un punto di vista organizzativo le aziende tradizionali.

Parlo di Enterprise 2.0, ovvero

un insieme di approcci organizzativi e tecnologici orientati all’abilitazione di nuovi modelli organizzativi basati sul coinvolgimento diffuso, la collaborazione emergente, la condivisione della conoscenza e lo sviluppo e valorizzazione di reti sociali interne ed esterne all’organizzazione.

Dal punto di vista organizzativo l'Enterprise 2.0 è volto a rispondere alle nuove caratteristiche ed esigenze delle persone ed a stimolare flessibilità, adattabilità ed innovazione.

Dal punto di vista tecnologico l’Enterprise 2.0 comprende l’applicazione di strumenti di social computing riconducibili al cosiddetto Web 2.0 - ovvero blog, wiki, RSS e folksonomie – e, in un’accezione allargata, l’adozione di nuovi approcci tecnologici ed infrastrutturali come SOA, BPM, RIA e di nuovi modelli di offerta come il Software-as-a-Service. (da wikipedia)


Faremo il secondo passo verso il web quando riusciremo a strutturare aziende che forniscono consulenza in tema di Enterprise 2.0 quante ne stiamo creando ora per fornire servizi di comunicazione e marketing.

E' un passaggio epocale. Nel 2000 le Pmi chiedevano siti vetrina, oggi li chiedono interattivi perchè hanno capito l'importanza di dialogare con il mondo esterno (il valore del feedback più di quello del messaggio del mittente).

Il prossimo salto sarà capire che lo strumento internet può generare valore anche all'interno dell'organizzazione aziendale stessa.

A quel punto gli imprenditori, i manager, i loro collaboratori, saranno più disponibili a valutare singolarmente dei servizi a pagamento in grado di migliorare la loro attività.

A quel punto l'advertising potrà avere una evoluzione in senso utilitaristico, perchè oggi purtroppo i piccoli non adottano in maniera sistematica un sistema di calcolo di ritorni sugli investimenti pubblicitari (se così fosse il passaggio progressivo da media tradizionali meno misurabili a nuovi media più misurabili sarebbe certamente più veloce di quanto non stia succedendo).

La terza fase potrà essere quella della crescita di aziende basate sul web capaci di pensare un prodotto (applicazione) innovativo e di metterlo con successo sul mercato.

Oggi non siamo pronti.

Lo sanno bene i finanziatori delle startup, che non si assumono i rischi tecnologici (valutano solo applicazioni, software o social network già pronti per andare su strada), e nemmeno quelli di mercato (non sono interessati a capire la sostenibilità in termini reddituali dell'azienda), ma si limitano a scommettere sulla crescita.

Il valore è dato in base al successo, al numero di utenti, alla crescita progressiva dei progetti.

Tutto da buttare? Niente affatto!
Le esperienze di lavoro condiviso (ne ho parlato in un dossier per Bresciaoggi nei giorni scorsi) sono un'ottima palestra non tanto per le startup in sè ma per creare quel che manca oggi alle aziende: un sistema realmente dialogante, funzione che le organizzazioni di rappresentanza non riescono più a svolgere con profitto. Ma pensare che da lì fiorisca il settore web è semplicemente prematuro.

12 commenti:

  1. Il tuo articolo e' una perla di saggezza della cultura e visione tecnologica. Disegna un deserto popolato di assetati e una desolazione di vegetazione, che vagano nella speranza di trovare le oasi, nel senso proprio di scambiare quali palpabili e raggiungibili mete, con la consapevole illusione che possano essere miraggi irraggiugibili o visioni mal interpretate. L'osservazione sull'arretratezza culturale e' evidente nel calarsi al capire che il digital divade non e' solo strutturale di mezzi ma ha radici culturali. Spesso pero' si costata che anche un deserto se ben curato diventa un substrato su cui fiorente nascono degli agglomerati. Come storicamente per gli quelli africani, frutto dell'estensione storica di alcuni ceppi ed oasi, che abbiano favorito e creato i presupposti della civilta' intorno a loro. Arrivate fino ai nostri giorni, in un contesto ed equilibrio che risulta precario quanto irripetibile. Il week end vissuto a Brescia, frutto di una non programmabile serie di coincidenze e causalita' (difficilmente riproducibili volontariamente) speriamo possano essere una speranza o seme che contagia l'area locale e prossima, favorendo una florida civita' culturale tecnologica diffusa e pervasiva, quale opportunita' di sopravvivenza per una realta' econonica che ad oggi "resta" solo un ricordo d'importanza e fulgore industriale.

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  2. Bravo Armagio. Ottime considerazioni.
    Mi emoziona vedervi parlare e discutere metaforicamente di deserti e oasi in quel di Brescia.
    La strada aperta nel corso di esperienze come Startup Weekend Brescia è quella giusta.
    Disegnare per primi un tragitto sulla sabbia dove prima non c'èra nulla, se non dei semplici granelli di sabbia, può portare in dote il rischio del successo.
    Tutto ciò è la base dell'innovazione che, da un po' di tempo, manca al sistema economico italiano.
    Non è detto che lo sbocco naturale di questo lavoro sia l'Italia.
    La recente scelta di Federico Feroldi (..... e molti anni fa di un altro più noto italiano di nome Federico ma di cognome Faggin), dal canto suo lo dimostra.
    L'Italia è una valida patria di talenti o creativi, spesso sconosciuti.
    Per questo motivo bisogna mettere in moto un sistema che permetta ai talenti, non solo alle idee, di mettersi in luce e di esprimere tutto il potenziale creativo.
    I benefici di questo stato di cose e di questo modello, saranno per tutti.
    Mary Quant sosteneva: « Se tenete le idee per voi i casi sono due: o non sono buone o comunque vanno a male. Fatele circolare ».

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  3. Sono d'accordo con te sul fenomeno startup-bubble.
    Però il senso dello startup weekend, per come l'ho vissuto io, sta nel processo, più che nel risultato.
    Il processo di prototipare un'idea, svilupparla in poco tempo, presentarla con basi economiche e pratiche davanti a una giuria (qui sono venture capitalist, nella vita reale è il mercato che ti giudica) è un processo vitale.
    Capita molto, molto raramente di poterlo realizzare "in vitro" com'è successo in questo weekend: una parentesi di pura concentrazione su un singolo progetto, con teste diverse, pensanti.
    Per me lo SW è stato un successo: ha dimostrato che, con o senza capitale, le nuove idee possono emergere. Già questo è un traguardo

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  4. Ciao Giovanni, condivido la tua riflessione.
    L'Italia non è pronta oggi a replicare quello che sta avvenendo altrove, senza per forza dover fare paragoni con la Silicon Valley.
    Soluzione? Questo abbiamo e ce lo dobbiamo tenere, con la consapevolezza che chi vuole andare veloce in genere emigra, impara e, solo se gli converrà, tornerà a fare innovazione qui.

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  5. ale, nelle premesse ho detto chiaramente che il mio obiettivo di critica non era lo sw che condivido nei metodi e negli approdi, ma un certo ottimismo ingiustificato che forse non tiene presente di una serie di passaggi chiave. il punto banalmente è fare gli italiani pensando che un giorno arriva dio e con il tocco magico inventa il mondo oppure pensare che c'è un'evoluzione razionalmente individuabile e per questo percorribile...

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  6. Io credo che l'evento di Brescia sia stata una BUFFONATA PAZZESCA, molti degli organizzatori partecipavano all'evento...e ci può stare....ma non essendoci una giuria esterna ecco spuntare i seguenti problemi:

    1- al primo step si son visti alcuni organizzatori (WebdeBS..per esempio...) con schiere amici pronti a votarli....risultato!?!? Imparzialità della votazione...Come poteva essere risolto?!!? Semplice....con una giuria super partes....

    2- non c'e' stato un controllo sulle iscrizioni, non veniva controllato se uno era studente oppure no e di conseguenza quanto aveva pagato.
    INOLTRE non c'e' stato un controllo preciso e attento se uno era iscritto all'evento oppure no...quindi a questo punto poteva entrare chiunque e nessuno si sarebbe accorto...Risultato!?!? Votazioni per il primo step fasulle...

    3- Questione Post-it: ASSURDO.....chiunque poteva attaccare più post-it su un unico cartellone...ed e' stato fatto....aggiungendo quanto detto al punto 1...facile raggiungere il primo traguardo delle prime 10 idee.

    4- Qualcuno non ha potuto presentare la propria idea perché era stato raggiunto il limite di 30 idee esposte...ma scusate:
    a) non e' stato definito nessun criterio per formare quella specie di fila di persone che dovevano presentare l'idea...
    b) non era stato detto il limite di 30 prima di formare la fila..

    Conclusioni: Pessima organizzazione, pensavo che la presenza di aziende "importanti" potesse portare serietà e professionalità all'evento. Così non e' stato....TOTALE imparzialità nella votazione, con conseguente facilità di controllo dei voti e di conseguenza delle prime 10 idee che potevano sviluppare uno startup....

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  7. Ciao Luca
    Ti rispondo come organizzatore :)

    1) webdebs non era organizzazione ma media sponsor, erano anche un gruppo di amici che senza dubbio si sono votati ma erano un gruppo su dieci, gli altri erano staccati. Più superpartes che votati dal pubblico cosa si poteva fare? Si chiama democrazia

    2) sono stati registrati tutti gli ingressi, non abbiamo verificato se erano iscritti per un problema con l'organizzazione internazionale che ci ha fatto arrivare la lista degli iscritti in ritardo e non abbiamo potuto verificare. Non c'erano passanti visto che eravamo in un castello lontano dalla città :)

    3) non era un metodo ottimo, sono d'accordo e condivido la critica... è un weekend in cui l'obiettivo deve essere la condivisione e lo spirito collaborativo, se in votazione ci sono "brogli" forse non è lo spirito giusto per partecipare

    4) solo una ragazza mi ha comunicato che non è riuscita a presentare, io ho chiesto se c'era ancora qualcuno... Se si voleva presentare bastava interrompermi!

    Mi dispiace che tu non abbia trovato l'ambiente che ti aspettavi, l'organizzazione è fatta per passione e non si guadagna nulla, anzi lo spirito che ci ha animato è stato verso la condivisione e la conoscenza con nuove persone! Se la prossima volta ci vuoi dare una mano sei ben accetto, sai dove trovarmi :) detto questo pur essendo animati dalla passione abbiamo cercato di arrivare al miglior risultato possibile, qualche errore si compie ma lo spirito di startup weekend è quello di collaborazione e condivisone non di invidia e gara ;)

    A presto
    Davide

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  8. Hai centrato un punto fondamentale: il web/vetrina deve entrare nelle imprese e radicarsi nel processo produttivo. Questa sarà la vera rivoluzione, questa sarà la vera innovazione. L’Enterprise 2.0 avrà un impatto di tale portata sulla produzione e sulla produttività da non essere nemmeno paragonabile per risultati alla comunicazione.

    Io da un paio di anni mi occupo di questo: consulenze per l'innovazione, progettazione e realizzazione di sistemi web interni per le imprese. Chiacchiero tutto il giorno di social, cloud, dematerializzazione, gestione documentale e dei flussi di lavoro, automazione, acquisizioni automatiche dei dati.

    Nella maggior parte dei casi non riesco a farmi capire. Gli imprenditori classici ormai si sono resi conti dell'importanza degli strumenti tecnologici. Tutti ormai vedono di buon occhio computer, internet, palmari, posta elettronica. Hanno capito che l'informatica aiuta ma si ostinano ad utilizzarla per velocizzare in alcuni passaggi i workflow radicati da 30 anni. Usano i pc come comode macchine da scrivere che non necessitano di carta carbone. Usano internet come una volta si usavano le pagine gialle e google maps nello stesso modo in cui usavano Tuttocittà. Excel come i quaderni registro. Stampano quantità inimmaginabili di documenti per spedirli via fax e buttarli nel cestino un minuto dopo. Le vecchie aziende di successo adesso hanno il sito figo tutta grafica e pochi contenuti. Però dietro la vetrina... beh.. c'è il giurassico!

    Non deve stupirti che non esista un'ampia offerta di consulenza in tema di Enterprise 2.0 . Non c'è offerta perché non c'è domanda. Le imprese per ora non vedono questo genere di innovazione come un investimento ma solo come una spesa inutile. Vogliono "innovare" ma non rivoluzionare.

    La verità è questa: io consulente mi sbatto per proporre idee, soluzioni, servizi che li renderebbero moderni, produttivi, competitivi e continuo a sentirmi dire NO. Non credo che sia un fatto economico. Realizzare progetti seri è costoso, questo è vero. Ma se studiati bene portano ad un risparmio consistente ed immediato che permette un ammortamento non nel giro di anni ma nel giro di pochi mesi. Credo quindi che sia un problema culturale.

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  9. [...] che le aziende (bresciane, ma mi verrebbe da dire italiane tout court) stanno affrontando. Cito allora un commento che è arrivato proprio ieri al mio precedente post sul tema. Tutti ormai vedono di buon occhio computer, internet, palmari, posta elettronica. Hanno capito che [...]

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  10. [...] potenziali?  Come lo può fare? Una qualche risposta, dopo  aver letto una prima riflessione sul blog di armagio, mi arriva da un post di Mario Ubiali. Nessuna delle due è [...]

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  11. [...] potenziali?  Come lo può fare? Una qualche risposta, dopo  aver letto una prima riflessione sul blog di armagio, mi arriva da un post di Mario Ubiali. Nessuna delle due è [...]

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